In Italia, l’uso della cannabis terapeutica è regolato dalle norme contenute nel Decreto ministeriale del 9 novembre 2015, nonostante la sostanza fosse presente nel nostro Paese già molto tempo prima. Ora, la cannabis è stata reintrodotta per scopi medici: ecco quali sono gli usi, le varietà e origini della sostanza in Italia.

L’origine della cannabis in Italia

La cannabis arriva da lontano: le sue origini risalgono a circa 10mila anni fa, quando era diffusa soprattutto nelle zone dell’Asia Centrale. Da lì, grazie agli spostamenti dei popoli nomadi, la pianta si è diffusa in tutta l’Asia, arrivando anche in Africa e, più tardi, nel Nord Europa, grazie agli sciiti.

Dal Nord Europa, la cannabis è arrivata fin sulle rive del Mediterraneo e in Italia. La pianta veniva usata soprattutto in ambito tessile e nei secoli delle conquiste marittime, Bologna e Firenze divennero famose grazie alle loro estese coltivazioni di canapa. Una spinta alla coltivazione e all’uso della pianta venne data sia dalle Repubbliche Marinare che dalla flotta britannica, che faceva realizzare cordami e vele in Italia. Così, il nostro Paese si inserì tra i primi produttori mondiali di canapa.

Ma la canapa non veniva usata solamente come fibra tessile. In Asia, Cina e India erano già state scoperte altre proprietà, che rendevano la cannabis un rimedio efficace contro alcune patologie. Nel 1200, Papa Giovanni XXI inserì la sostanza in un trattatello di medicina. A partire dagli anni 40 del ‘900, la canapa iniziò ad essere messa da parte, a vantaggio di altre materie, tra cui la carta e la nuova fibra proveniente dagli Stati Uniti, il nylon. Inoltre, con la scoperta degli effetti psicotropi, la cannabis venne guardata con sospetto fino a che, nel 1990, il Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti ne vietò la coltivazione, fino all’introduzione delle leggi che ne consentono l’uso terapeutico.

Le varietà italiane

Nel nostro Paese, sono due le sostanze derivate dalla cannabis e prodotte sul territorio nazionale che possono essere utilizzate in campo terapeutico. Entrambe contengono sia THC (delta-9- tetraidrocannabinolo), che CBD (cannabidiolo), anche se in percentuali differenti.

Come precisa il Ministero della Salute, in Italia vengono prodotte la varietà di cannabis FM2 e FM1: la prima contiene tra il 5% e l’8% di THC e tra il 7,5 e il 12% di CBD, mentre la seconda tra il 13 e il 20% di THC e più dell’1% di CBD. La commercializzazione della cannabis FM2 è stata autorizzata nel 2016, mentre il prodotto FM1 è disponibile dal luglio 2018.

Entrambe le varietà vengono coltivate e prodotte nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, seguendo norme rigide che si rifanno alle direttive europee in materia di medicinali. Tutto il processo produttivo viene controllato, per evitare che sul prodotto si formino muffe o che vengano contaminate da agenti inquinanti.

Le quote di produzione delle sue sostanze derivate dalla cannabis vengono calcolate sulla base del consumo degli ultimi due anni, ma il quantitativo necessario per le terapie può essere integrato anche dall’importazione.

Quando si usa la cannabis medica?
Il Ministero della Salute specifica i casi in cui è possibile ricorrere alla cannabis terapeutica, nel trattamento di alcune patologie. L’uso medico della cannabis “non può essere considerato una terapia propriamente detta”, ma un trattamento di supporto rispetto alle terapie standard, nel caso in cui non producano gli effetti desiderati. La sostanza può essere usata, in particolare, in 6 circostanze:

  • come analgesico per le patologie che provocano spasticità e dolore, come la sclerosi multipla, nel caso in cui le terapie convenzionali non si siano rivelate efficaci;
  • come analgesico contro il dolore cronico, “in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace”;
  • come rimedio agli effetti della nausea e del vomito causati da chemioterapia, radioterapie e terapie per HIV, che non possono essere trattate con metodi tradizionali;
  • per stimolare l’appetito nell’anoressia, nei pazienti oncologici o affetti da AIDS, quando l’effetto stimolante non può essere ottenuto con trattamenti standard;
  • per stimolare l’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle altre terapie;
  • per ridurre movimenti involontari nella sindrome di Gilles de la Tourette.

L’assunzione della sostanza avviene dietro prescrizione medica non ripetibile, effettuata da qualsiasi medico abilitato e iscritto all’Ordine.