Ormai da qualche tempo si parla di cannabis terapeutica e in Italia, nel corso degli anni, sono stati fatti diversi passi avanti dal punto di vista legislativo. Oggi, nel nostro Paese, è possibile prescrivere l’uso della sostanza, preparata seguendo norme precise, per il trattamento del dolore in specifiche patologie.

L’iter per arrivare all’attuale panorama legislativo prende avvio nel 1990, quando viene pubblicato il Decreto del presidente della Repubblica 309/1990, che raccoglie le leggi “in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”. In realtà, il Decreto comprende tutti gli stupefacenti, ma è considerato il punto di partenza delle leggi successive riguardanti la cannabis terapeutica.

Secondo quanto si legge sul sito del Ministero della Salute, infatti, è a partire dal 2006 che i medici italiani possono prescrivere “preparazioni magistrali, da allestire da parte del farmacista in farmacia”, usando una sostanza vegetale a base di cannabis, derivata dalle infiorescenze della cannabis coltivata, che può essere assunta sotto forma di decotto, inalazione o vaporizzazione. Inoltre, dal 2013, è possibile la prescrizione del SativexR, a base di estratti di cannabis: il suo principio attivo, infatti, è una preparazione vegetale formata da cannabidiolo (CBD) e delta-9-tetraidrocannabinolo (THC).

Ma la norma di riferimento per l’uso della cannabis terapeutica è rappresentata dal Decreto ministeriale del 9 novembre 2015, che regola l’utilizzo e la somministrazione della sostanza. Il Decreto “autorizza la coltivazione delle piante di cannabis da utilizzare per la produzione di medicinali di origine vegetale a base di cannabis , sostanze e preparazioni vegetali”. Inoltre, il Ministero specifica i casi in cui può essere prescritta la cannabis terapeutica, che vanno dalle patologie con spasticità associata al dolore (come la sclerosi multipla), al glaucoma resistente alle terapie convenzionali e alla sindrome di Gilles de la Tourette, che provoca movimenti involontari del corpo. La cannabis può servire anche come analgesico “nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace” e anche come antidoto agli effetti di chemioterapia, radioterapia e terapie contro HIV. Inoltre, il Decreto ingloba anche la legge Di Bella del 1998, che disciplina le modalità di prescrizione di “preparazioni magistrali” a base di cannabis terapeutica da parte dei medici.

Dal 2014, è stato avviato il Progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis, con l’obiettivo di rendere la sostanza più controllata. Dal 2016, in Italia è disponibile la cannabis FM2, contenente THC dal 5 all’8% e CBD dal 7,5 al 12%: si tratta della prima sostanza attiva a base di cannabis, prodotta secondo le norme europee e in base a un processo controllato. Dal 2018 è disponibile anche la cannabis FM1, che contiene dal 13 al 20% di THC e una quantità minore all’1% di CBD.

Lo scorso 23 settembre è stata pubblicata una circolare dalla direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del Ministero della Salute, in cui si legge che il quadro normativo relativo alla cannabis terapeutica esclude le possibilità di:

  1. allestimento di ‘formule officinali’ a base di cannabis
  2. allestimento di forme farmaceutiche diverse e via di somministrazione diverse da quelle indicate nel decreto ministeriale del 2015.

“Si ricordi che le resine e gli oli (oleoresine) sono inclusi nella tabella II allegata al DPR 309/90 e non nella tabella dei medicinali”, si legge nel testo della circolare, che è stata criticata da diverse associazioni, vista come un passo indietro nel panorama legislativo.

Ad oggi, in Italia, è quindi possibile l’assunzione di cannabis terapeutica, sotto prescrizione medica e secondo regole specifiche.