La cannabis terapeutica potrebbe essere usata per migliorare i sintomi causati dai disturbi alcolico-fetali, che colpiscono il feto nel caso in cui la madre assuma alcol in gravidanza. Nonostante un recente studio mostri dei possibili benefici da parte del CBD, sono necessarie ricerche più approfondite per indagare a fondo i possibili benefici della sostanza in questo campo.
Che cos’è la sindrome feto-alcolica?
La sindrome feto-alcolica (FAS, dall’inglese Fetal Alcohol Syndrome) è una disabilità permanente, la più grave secondo le indicazioni del Ministero della Salute, che si manifesta quando la madre assume alcol durante la gravidanza. In questo modo, anche il feto ne rimane esposto.
Oltre alla sindrome, che corrisponde all’eventualità più grave, possono verificarsi anche altri disturbi, come rallentamento nella crescita, disabilità comportamentali e disagi neuro-cognitivi. Questi si possono manifestare in modo diverso da persona a persona e rappresentano i FADS, i Fetal Alcohol Spectrum Disorder.
La sindrome è il risultato del consumo di alcol delle donne in gravidanza. Le bevande ingerite dalla donna giungono anche nel sangue del feto, che “non può metabolizzare l’alcol perché è privo degli enzimi adatti a questo compito”. Per questo, l’alcol si accumula nel sistema nervoso e negli organi del feto, arrivando a danneggiarli provocando problemi al bambino.
Lo studio
Un aiuto nel migliorare alcuni comportamenti legati alla sindrome feto-alcolica potrebbe arrivare dalla cannabis. Un gruppo di ricercatori israeliani, infatti, ha seguito una serie di casi retrospettivi sull’effetto della sostanza in 2 bambini e 3 ragazzi con diagnosi di FASD.
Nello studio, pubblicato nel febbraio 2021, viene riferito che fino al 5% dei bambini americani soffre di disturbi da sindrome feto-alcolica, con diversi “gradi di sintomatologia”. In questi anni, però, la ricerca sull’efficacia delle “modalità farmacologiche, limitate principalmente agli stimolanti per il disturbo da deficit di attenzione e iperattivo o agli antipsicotici atipici di seconda generazione per l’aggressività”, è stata scarsa. Di recente, inoltre, si è aperta la possibilità di un aiuto da parte dei componenti della cannabis, in particolare il cannabidiolo (CBD).
I risultati mostrano che in tutti i 5 casi la cannabis “è stata associata a un miglioramento marcato e statisticamente significativo nel comportamento distruttivo grave”. Lo studio suggerisce la possibilità di un aiuto da parte del CBD nel trattamento della FASD. Ma la ricerca degli scienziati israeliani si basa su numeri troppo bassi: per questo servono studi controllati e comprendenti un campione più ampio per testare davvero la possibile efficacia della cannabis.