Dal trattamento del dolore cronico, fino al miglioramento della spasticità e dei sintomi correlati alle cure chemioterapiche e alla sclerosi multipla, la Cannabis sta emergendo come potenziale terapia contro patologie resistenti ai farmaci tradizionali.
Non solo. In molti Paesi, infatti, la sostanza viene anche usata con scopi ricreativi. Per questo, la conoscenza del profilo chimico (chemiotipo) della pianta, cioè la concentrazione dei cannabinoidi e il loro rapporto, assume un’importanza fondamentale da parte chi la consuma e di chi la produce. I primi a pensare a una classificazione della Cannabis in base al chemiotipo sono stati Ernest Small e HD Beckstead che, in un articolo del 1973 pubblicato su Nature, introdussero l’idea di una divisione in base al contenuto di cannabinoidi. Nelle piante appartenenti allo stesso gruppo, il rapporto tra i cannabinoidi rimane costante, anche se le concentrazioni possono cambiare.
I chemiotipi di Cannabis
Stando alla classificazione basata sul chemiotipo, possono essere distinti 5 gruppi:
- TipoI (THC dominante): si tratta di piante in cui le concentrazioni di THC, il composto con effetti psicoattivi, sono nettamente maggiori rispetto a quelle di CBD. Solitamente, questo chemiotipo si identifica con la sostanza usata per scopi ludici e ricreativi. Il THC, presente con una concentrazione maggiore dello 0,3%, può arrivare fino al 30%, mentre la presenza di CBD è molto più ridotta (minore dello 0,5%).
- Tipo II: è un chemiotipo con un rapporto misto di CBD e THC, presenti entrambi con concentrazioni moderate. In questo modo, il CBD può aiutare a mitigare gli effetti indesiderati del THC e il loro rapporto 1:1 risulta particolarmente indicato per l’uso medico. Un esempio è il Sativex, il farmaco usato contro la spasticità derivata dalla sclerosi multipla.
- Tipo III (CBD dominante): si tratta di piante con basso contenuto di THC, che è presente in quantità minori dello 0,3%. La quantità di CBD, al contrario, supera lo 0,5%.
- Tipo IV: è stato identificato per la prima volta nel 1987, da un gruppo di ricercatori francesi, che notarono un quarto profilo ricco di cannabigerolo (CBG). Lo studio fornì la descrizione del quarto chemiotipo, caratterizzato da un bassissimo contenuto di THC e da alte concentrazioni di CBG (maggiori dello 0,3%).
- Tipo V: a descriverlo per la prima volta sono stati due ricercatori italiani, con uno studio risalente al 2004. Questo chemiotipo raggruppa le piante di cannabis con “una quantità non rilevabile di cannabinoidi”. Il gruppo, infatti, viene anche definito “zero cannabinoidi”.
Conoscere e distinguere la pianta di Cannabis in base al chemiotipo può essere utile per una scelta consapevole da parte del consumatore. Per questo, alcune aziende hanno introdotto questo tipo di identificazione dei prodotti. Questo sistema di classificazione potrebbe essere fondamentale anche per la creazione di un linguaggio condiviso, che permetterebbe di identificare i vari tipi di Cannabis, in base alle caratteristiche dei singoli chemiotipi e alle differenze dei possibili effetti.