La sindrome dell’intestino irritabile è un disturbo che investe l’intestino, con un’incidenza maggiore tra le donne, in particolare tra i venti e i cinquanta anni. La problematica è caratterizzata da forti dolori addominali accompagnati da fastidio, gonfiore e alterazioni durante la defecazione, che possono condurre a stitichezza, diarrea e meteorismo.

Il disturbo può essere anche accompagnato dal meteorismo. In alcuni casi la sindrome si manifesta con la somma di momenti di diarrea alternati ad altri di stitichezza, con sintomi che migliorano solo con l’evacuazione finale.

La sindrome dell’intestino irritabile non deve essere confusa con la colite spastica, poiché legata a diversi disordini di tipo funzionale e gastrointestinale. Non esiste un unico elemento patogenetico in grado di scatenare la SII, ovvero non vi è un unico processo fisiopatologico da cui può partire la sindrome. Le cause sono molteplici e ancora oggi non del tutto chiare, ma secondo diversi studi esisterebbe una correlazione di fattori in grado di favorire la condizione.

Può esistere una predisposizione genetica oppure fisica, con relativa sensibilità intestinale, ma la sindrome può manifestarsi anche come conseguenza di alcuni fattori psico-sociali, come conseguenza di infezioni precedenti, nonché intolleranze verso farmaci e cibi. Il disturbo può presentarsi anche nei soggetti con una condizione intestinale delicata, che li porta ad alterazioni della motilità intestinale, o colpiti da squilibri nella flora intestinale.

L’intestino è considerato come un vero e proprio cervello, poiché avvolto da fasci nervosi, per questo non deve stupire se stress ed emozioni forti possono intervenire negativamente sul suo benessere. Inoltre, la sindrome si presenta in concomitanza con disordini motori del tratto digestivo, quali la dispepsia funzionale e la malattia da reflusso gastroesofageo o, ancora, la celiachia.

Cosa comporta?

I sintomi ricorrenti della malattia si manifestano a lungo nel tempo e sono riconducibili al fastidio o al dolore addominale, con una frequenza alta durante un arco di tempo contenuto – ad esempio almeno tre volte durante un mese, per tre o sei mesi. La situazione migliora dopo aver liberato il tratto intestinale, con feci dal formato alterato rispetto alla norma e con un’evacuazione difficoltosa oppure rapida. Possono inoltre essere presenti gonfiore e distensione addominale, muco e flatulenza.

La diagnosi solitamente parte dall’esclusione di altre malattie e tiene conto di alcuni fattori come l’età, la frequenza degli eventi, un eccessivo dimagrimento, dolore persistente anche dopo l’evacuazione, febbre, sangue nelle feci e anemia, l’assunzione di alcuni cibi o farmaci. Il medico potrà prescrivere una serie di esami diagnostici a partire dall’emocromo, dall’analisi delle feci e dalla colonscopia, per poi passare a test specifici.

La cannabis medica come supporto

La cura per l’intestino irritabile verrà calibrata in base all’esigenza del paziente ma potrebbe prevedere l’assunzione di farmaci, un cambio di dieta compresa un migliore idratazione, l’assunzione di integratori e prodotti specifici per controllare lo stress e l’ansia.

La terapia con cannabis terapeutica trova spazio soprattutto nelle situazioni di ansia e stress, insonnia e dolori cronici che possono tradursi anche in una sintomatologia intestinale. Il THC contribuisce a regolarizzare il transito delle feci, a dormire meglio e ridurre i dolori (intestinali e non). Il CBD risulta utile per le proprietà antinfiammatorie e antipsicotiche. Per arrivare al miglior risultato per il paziente, i cannabinoidi possono ben affiancarsi ai trattamenti specifici e a un percorso nutrizionale adeguato.

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